Un’intervista con la Prof.ssa Maria Rosaria Gualano, associata di Igiene presso l’Università Medica Internazionale UniCamillus
In un mondo che si muove rapidamente verso l’innovazione e la scoperta scientifica, ci sono figure che emergono non solo per il loro contributo accademico, ma anche per l’impatto reale che le loro ricerche hanno sulla vita quotidiana delle persone. Tra queste, spicca la Professoressa Maria Rosaria Gualano, associata di Igiene presso l’Università Medica Internazionale UniCamillus, la cui dedizione e lavoro hanno recentemente guadagnato riconoscimento internazionale grazie alla pubblicazione di uno studio rivoluzionario su The Lancet eClinical Medicine, promosso dall’Università Paris Saclay.
La professoressa ha contribuito allo sviluppo del primo protocollo al mondo per la gestione dei neonati affetti da bronchiolite e ricoverati nei reparti di terapia intensiva.
La bronchiolite è una temibile infezione respiratoria che aggredisce soprattutto i bambini molto piccoli e i neonati. Nei casi più gravi, può essere letale, in quanto può arrivare a causare un’insufficienza respiratoria molto critica.
Provocata soprattutto dall’RSV (Virus Respiratorio Sinciziale), è una patologia stagionale estremamente infettiva che, sia in Europa che in Nord America – complici il freddo e la contagiosità negli asili nido – determina parecchi ricoveri nei reparti pediatrici e neonatali di terapia intensiva (UTI).
Il protocollo mira a trasformare l’approccio alla gestione della bronchiolite nei neonati e segna un punto di svolta nell’assistenza sanitaria pediatrica.
Per saperne di più abbiamo intervistato la Professoressa Maria Rosaria Gualano con la quale si è parlato di questo traguardo, della sua carriera e delle sue visioni future, offrendoci un’occasione unica per comprendere la mente e il cuore dietro a questa pionieristica ricerca.
Professoressa Gualano, la sua partecipazione al primo protocollo al mondo pubblicato su The Lancet eClinical Medicine, promosso dall’Università Paris Saclay, ha portato un contributo significativo nel campo della medicina neonatale. Come è nata la collaborazione con l’Università Paris Saclay e l’idea di questo studio?
L’idea di fare uno studio innovativo in questo campo è nata da un confronto con il Prof. Daniele De Luca, Ordinario di Neonatologia e Direttore del Reparto di Terapia Intensiva Neonatale a Parigi, nonché Presidente della Società Europea di Terapia Intensiva Neonatale e Pediatrica (ESPNIC), in un momento in cui l’RSV e le bronchioliti erano purtroppo un hot topic sulla “cresta dell’onda”, noi stavamo già collaborando su altri progetti e ci siamo detti: perché non fare qualcosa insieme unendo da una parte la grande esperienza clinica di uno dei più importanti centri di neonatologia in Europa e dall’altra quella di sanità pubblica, igiene e gestione dei servizi sanitari, che è propriamente la mia? Dall’unione di queste due prospettive siamo riusciti a fare il punto sia sulla letteratura scientifica esistente che sui dati a disposizione dalla sua realtà quotidiana e abbiamo cercato di offrire un contributo scientifico di rilievo per la comunità scientifica e per i pazienti.
Quali sono gli obiettivi delle linee guida?
Dunque, la nostra finalità principale è stata quella di andare a incidere in maniera impattante sul grande problema dei posti letto nelle terapie intensive: come abbiamo tristemente imparato durante la pandemia, sembrano non bastare mai, e questo nel campo dell’assistenza pediatrica e neonatale è purtroppo ancora più tangibile, in tutti i Paesi del mondo, anche i più “ricchi”. Addirittura, nei Paesi a reddito medio-basso, dove le terapie intensive in molte realtà non sono disponibili, la bronchiolite causata da RSV è responsabile di oltre 120.000 decessi/anno.
Pertanto, era cruciale per noi, individuare una serie di percorsi e procedure, indirizzate ai piccoli pazienti, in particolari i più fragili e quindi gravi, che potessero salvare delle vite senza necessità di manovre respiratorie invasive.
Qual è stato il suo ruolo nel raggiungimento di questo risultato?
Il mio ruolo, come medico esperto di epidemiologia e sanità pubblica, è stato quello di “disegnare” lo studio e guidare i clinici nelle scelte della metodologia di ricerca da adottare, cercando di tenere sempre ben presente la cosiddetta gerarchia delle evidenze scientifiche: coordinare metodologicamente una ricerca come questa significa anche tenere sempre ben presente quelli che sono gli studi e i dati più affidabili, da tenere in considerazione. Inoltre, mi sono dedicata alla valutazione di un altro importante aspetto, insieme al Prof. Walter Ricciardi, che è tra i maggiori esperti di sanità pubblica al mondo: la valutazione degli impatti organizzativo-manageriali ed economici, perché non possiamo non tenere conto anche del fatto che adottare procedure che ci permettano di risparmiare risorse, evitando un costoso ricovero in terapia intensiva, è un altro aspetto fondamentale.
Lo studio si concentra sulla gestione dei neonati in terapia intensiva per bronchiolite, una condizione che può essere estremamente grave. Quali sono state le maggiori sfide nel mettere a punto il primo protocollo al mondo per la sua gestione?
Insieme agli illustri colleghi con cui ho avuto l’onore di collaborare, ci proponevamo qualcosa di molto ambizioso, pertanto ricco anche di sfide aperte: mettere insieme le evidenze di grado più elevato prodotte dalla letteratura mondiale, garantire la validità dei dati in nostro possesso e condividere con la comunità scientifica un protocollo innovativo che offrisse una serie di procedure cliniche-gestionali-assistenziali che combinate insieme potessero dare il migliore risultato possibile per dei pazienti così piccoli e fragili. Tutto questo doveva essere anche “tempestivo”, perché l’urgenza era dettata proprio dalla situazione epidemiologica ingravescente dei mesi invernali nel nostro emisfero, perciò ci siamo dovuti anche rimboccare le maniche e farlo dedicandoci tempo e risorse mentali focalizzate a questo: spesso fare una pubblicazione scientifica richiede non solo il tempo necessario alla realizzazione dello studio ma anche tutta la trafila dei tempi di accettazione e pubblicazione sulle riviste scientifiche di settore, abbiamo cercato davvero di mettercela tutta per accelerare e cercare di fare del nostro meglio!
Era un lavoro atteso dalla comunità scientifica, perché?
Era atteso perché, per quanto possa sembrare strano, non era mai stato formalizzato un protocollo per la gestione dei casi più gravi di bronchiolite in terapia intensiva; pertanto non c’erano indicazioni evidence-based cui i clinici potessero riferirsi. Inoltre, questo lavoro può rappresentare un importante Game Changer da un punto di vista di salute pubblica: se pensiamo che un giorno di ricovero in TIN e TIP, terapia intensiva neonatale o pediatrica può costare fino a 5,000 Euro al giorno in alcuni Paesi e il ricovero dura in media una decina di giorni, è chiaro come, oltre a salvare delle vite, possiamo anche riuscire a farlo evitando costi elevati e complicanze post-ricovero in terapia intensiva.
Ci auguriamo di poter garantire ciò che ormai in medicina e ricerca sui servizi sanitari perseguiamo da anni: poter scegliere un intervento medico che sia “dominante’ rispetto ai suoi comparatori, ossia garantisca elevata efficacia impegnando meno risorse economiche. E in un momento di crisi globale come quello che stiamo ahimè vivendo questo è sempre più centrale per garantire la sostenibilità del sistema.
Quali sono i prossimi passi per la vostra ricerca in questo campo?
Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che lo scenario di oggi e del futuro, in un’era post-pandemia, ci ha ricordato che la strada per abbattere i rischi legati alla diffusione delle malattie infettive è ancora molto lunga. Abbiamo però importanti strumenti che si stanno sviluppando e che prima non avevamo, frutto delle ricerche compiute negli ultimi anni che, anche grazie alle nuove straordinarie tecnologie emergenti, stanno aprendo la strada a terapie molto innovative, anche dal punto di vista preventivo (come gli anticorpi monoclonali in mono-somministrazione ed il vaccino fetale anti-RSV).Sicuramente studieremo gli impatti di questo nel campo delle infezioni da RSV e virus respiratori nei soggetti più piccoli e delicati. È importante sottolineare un concetto basilare: la salute e il benessere dei soggetti nelle prime fasi della vita si riflette poi sul futuro come individuo adulto, pertanto è cruciale occuparsene.
Questo studio rappresenta un traguardo significativo nella sua carriera. Qual è il significato personale e professionale di questo successo per lei?
Non posso nascondere una grande soddisfazione per questo risultato, sia come ricercatore e docente, che come medico: oggi la ricerca biomedica viene misurata con una serie di indicatori come il numero delle citazioni di uno studio e se possiamo essere confidenti del fatto che questo lavoro sarà molto citato, la verità è che, al di là dei numeri che ci classificano, poter dare un contributo significativo alla vita delle persone è il motivo per cui si fa questo lavoro. Non ci può essere qualcosa che ti fa sentire più completo come professionista del campo medico. Questo è importante non solo per aiutare a migliorare il benessere dei pazienti e individui ma anche per trasmettere fiducia nella medicina e nella scienza, per questo credo molto nel condividere non solo i propri risultati nelle “ristrette cerchie degli addetti ai lavori” ma anche a poter divulgare le nostre scoperte a tutti i cittadini.
Essere parte di una prestigiosa università internazionale come UniCamillus offre sicuramente opportunità uniche. Come ha influito questo ambiente sulla sua ricerca?
Lavorare in una Università Internazionale e “giovane” è una esperienza stimolante e che fa sentire molto proiettati nel futuro della medicina: studenti che vengono da ogni parte del mondo, che ti aprono la mente su realtà a volte completamente diverse dalla nostra. Questa per me è una ricchezza senza pari, io cerco di trasmettere loro tutto ciò che posso e che mi appassiona ma contemporaneamente io imparo da loro e dalle loro esperienze, credo che ci sia uno scambio straordinario e si crea davvero un patrimonio enorme fatto di circolo di conoscenze. Insomma, per fare un esempio, le mie lezioni sui diversi sistemi sanitari del mondo, che avevo sempre fatto solo in italiano per italiani, ora sono lezioni “viventi”, direi che è una esperienza incomparabile e un esempio per quando si parla di lezioni interattive!
Inoltre l’ambiente che si è creato anche tra noi docenti, alcuni anche molto giovani, magari rientrati da importanti esperienze all’estero, contribuisce alla costruzione di un ambiente dinamico, che adotta nuove tecnologie con facilità e che ti fa crescere professionalmente: mi è sempre piaciuto fare ricerca ma diciamo che sicuramente qui in Unicamillus gli spunti che ti vengono in mente sono tantissimi. Mi permetto di dire che nel nostro Paese sarebbe davvero bello avere molte più realtà che abbiano questa impronta, in tutti i settori!
La sua esperienza e il suo lavoro sono di ispirazione per molti. Quali consigli vorrebbe dare ai giovani ricercatori che desiderano seguire una carriera simile?
Mi occupo di ricerca e insegno all’università da più di 10 anni e ovviamente il mio giudizio è “viziato” dalla mia esperienza personale ma credo che sia una delle attività più belle che esistano e vorrei che chiunque intraprendesse questa strada avesse innanzitutto una grande passione. Recentemente sono stata inserita nella World’s Top 2% Scientists 2023 elaborata dall’Università di Stanford e nella Top Italian Scientists e sono certamente grandi traguardi professionali, ma come dicevamo prima, al di là dei numeri e delle classifiche, ci sono i valori che ci caratterizzano, che ci portano a contribuire alla scienza in modo concreto e con applicazioni che aiutino le persone a stare meglio… longevi e in salute!
Per raggiungere questi traguardi ci vogliono però anche sacrifici, anche se qualcuno dice “scegli il lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno”… bisogna ricordare che è necessario davvero tanto studio, impegno, perseveranza ma anche creatività e coraggio di sperimentare e adattarsi ai contesti che stiamo vivendo. Il mio consiglio è di essere preparati sia dal punto di vista scientifico che da quello di tenersi aggiornati in generale sul mondo che ci circonda. Questo è un periodo di trasformazioni e sfide epocali, sicuramente anche nel campo della medicina, e i nostri giovani devono essere in grado di non farsi sopraffare ma anzi di governarle e coglierne tutte le opportunità. Insomma, oggi cominciamo a impiegare strumenti come l’Intelligenza Artificiale che sta già cambiando le nostre vite più di quanto siamo consapevoli, ma tutto questo va saputo gestire, perché c’è qualcosa che nessuna macchina potrà mai sostituire: il nostro contributo come esseri umani, ossia capaci di sentimenti, di empatia, di comunicazione e di umanità. Queste cose acquisteranno sempre più valore, proprio perché insostituibili.
Allo studio, oltre all’Università “Paris Saclay” di Parigi e all’Università “UniCamillus” di Roma, hanno partecipato anche le Unità Pediatriche di Terapia Intensiva del “Bambino Gesù” di Roma e dell’Ospedale Universitario di Padova, nonché la Fondazione Policlinico “Gemelli” di Roma e il Centro di Ricerca e Studi sulla Leadership dell’Università “Cattolica del Sacro Cuore” di Roma.
Lo studio in questione è consultabile online sul sito di The Lancet eClinical Medicine
Fonte: Health Online