È possibile accrescere la probabilità di guarigione nei pazienti con sarcoma dei tessuti molli, senza che questo si presenti nuovamente? Sul tema è intervenuto il dottor Sandro Pasquali, tra i ricercatori della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che, interpellato dal Corriere della Serra, ha spiegato come sfruttando in un modo diverso la chemioterapia potrebbe migliorare l’attivazione del sistema immunitario. “I sarcomi – evidenzia Pasquali nella stessa intervista – sono un gruppo di oltre un centinaio di tumori rari che originano dai tessuti connettivi, le strutture ‘di sostegno’ dell’organismo. Insorgono sia nelle parti molli, come per esempio nei muscoli, sia in organi. I fattori di rischio che portano allo sviluppo di sarcomi sono poco conosciuti, a causa delle difficoltà nel condurre studi per comprenderne le origini e a causa della loro rarità”.
L’incidenza dei sarcomi dei tessuti molli nel loro complesso è intorno a 5 nuovi casi all’anno ogni 100mila persone. L’intervento chirurgico è la terapia standard alla diagnosi, a cui si aggiungono radioterapia e chemioterapia nelle persone che sviluppano sarcomi delle parti molli con un maggior rischio di recidiva. A oggi, però, solo la metà di questi pazienti non sviluppa recidiva dopo 10 anni ed è considerata quindi guarita. L’obiettivo è di guarire anche la rimanente metà di questi malati.
I sarcomi sono neoplasie complesse da trattare, per le quali più specialisti devono concorrere alla cura del paziente ed in cui i progressi, seppur lenti, vanno divulgati. Inoltre, è fondamentale trovare il giusto equilibrio tra centri di riferimento e le strutture Ospedaliere nelle quali vengono spesso eseguite le prime diagnosi. Su questo punto, e dunque sul ruolo degli Ospedali e sull’importanza della rete oncologica laziale che può rappresentare il contesto nel quale offrire ai pazienti le cure migliori, si è dibattuto in occasione del congresso “Tra precisione chirurgica e innovazione oncologica nei Sarcomi”, organizzato dai dottori Carlo Garufi, della UOC di Oncologia, e Stefano Sioletic, della Anatomia Patologica, dal “San Camillo Forlanini” e dalla Regione Lazio il 9 febbraio scorso.
All’iniziativa, attraverso cui l’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini ha voluto ribadire l’importanza della cura delle neoplasie solide dell’adulto e la volontà di essere all’avanguardia nella Regione Lazio in ambito oncologico, hanno preso parte ottanta partecipanti oltre alla faculty di 20 relatori.
Dottor Carlo Garufi, perché proporre un approfondimento sui Sarcomi proprio in questo momento in cui la ricerca sembra arrivare a un punto cruciale?
Il congresso era incentrato sulla diagnosi e sul trattamento dei sarcomi, che sono un gruppo raro di neoplasie maligne, molto eterogeneo per sede di insorgenza, il cui trattamento deve prevedere fin dall’inizio il coinvolgimento di differenti protagonisti coesi in un team multidisciplinare: radiologi, chirurghi, anatomo-patologi, biologi molecolari, radioterapisti, oncologi medici. I sarcomi sono però tumori che possono giungere all’osservazione in ospedali generali non specializzati nella cura di queste neoplasie e che, pertanto, necessitano di una “rete oncologica” in grado di farsene Garuficarico. Ognuno di questi professionisti ha un ruolo complementare ed indispensabile per giungere ad una corretta diagnosi, ad un corretto trattamento chirurgico, ad una corretta terapia medica.
A proposito di diagnosi, ci si è concentrati sul metodo istologico. Di cosa si tratta?
Nel corso del convegno alcuni principi sono emersi in modo chiaro: è questo – appunto – il caso della diagnosi istologica che deve essere sempre eseguita attraverso una biopsia prima di ogni intervento chirurgico con intento curativo, perché neoplasie simili radiologicamente hanno istologie differenti all’esame istologico definitivo, prognosi e trattamenti diversi. La diagnosi istologica spesso necessita di integrazioni molecolari ottenibili oggi con sofisticate tecniche di laboratorio, appannaggio di centri ad alto volume. Un altro principio importante è che la chirurgia deve seguire principi di radicalità chirurgica definiti e riconosciuti in ambito internazionale anche a costo di interventi molto demolitivi. Una chirurgia di “risparmio” in alcuni casi può compromettere la prognosi.
Infine l’aspetto medico.
Gli oncologi medici dei centri diffusi sul territorio devono conoscere queste patologie, devono essere in contatto con Istituzioni di riferimento ma non possono delegare le proprie responsabilità ed affidarsi soltanto ai colleghi più esperti. Una fusione di interesse, competenza e responsabilità rappresenta oggi la migliore soluzione per i pazienti.
Fonte: Health Online