Un importante passo in avanti per la ricerca scientifica. Sono positivi i primi esiti della strategia di editing (correzione) genetico perfezionata dal team di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano per le immunodeficienze primitive dovute a difetti nel gene RAG1: chi nasce con un deficit di questo tipo presenta un’immunodeficienza grave con infezioni ricorrenti e potenzialmente fatali, diarrea cronica, eruzioni cutanee, ritardo della crescita e un’aspettativa di vita limitata. La notizia, che affonda le basi nel 2016 quando è stato avviato il lavoro di ricerca, è stata raccontata sulla rivista Science Translational Medicine.
Il sistema correttivo sfrutta il CRISPR/Cas9, enzima in grado di tagliare il DNA, associato a una sequenza di RNA che fa da guida e consente di indirizzare il taglio nell’esatto punto, dove cioè c’è la mutazione patologica. Per introdurre il sistema di ‘taglia e cuci’ nelle cellule è stato usato il metodo dell’elettroporazione, che attraverso brevi impulsi elettrici consente di aprire i pori sulla membrana delle cellule. Una volta effettuato il taglio, i ricercatori hanno fornito alla cellula la sequenza corretta con cui riparare il DNA, tramite vettori virali che non si inseriscono nel DNA cellulare, per evitare qualsiasi modifica indesiderata.
Come specificano dall’Ospedale San Raffaele, il deficit di RAG1 fa parte delle immunodeficienze combinate gravi (SCID) e dipende da mutazioni in un gene molto importante per il corretto sviluppo del sistema immunitario. RAG1 è regolato in maniera molto fine, per cui deve essere “acceso” e produrre la proteina che codifica soltanto in un breve lasso di tempo durante la vita dei linfociti T e B. In condizioni normali, RAG1 contribuisce alla produzione di entrambi i tipi di globuli bianchi: se però non funziona, ecco che queste cellule non si formano, lasciando l’organismo privo di 2 componenti fondamentali per difenderci dalle infezioni. Ci sono tuttavia anche casi in cui la proteina RAG1 non è del tutto assente, ma è capace di promuovere soltanto la formazione di poche cellule: questo si traduce in un’attività sregolata del sistema immunitario, caratterizzata da autoimmunità e infiammazione cronica (sindrome di Omenn e SCID atipiche).
L’unica soluzione è rappresentata dal trapianto di cellule staminali del sangue, a condizione che ci sia naturalmente un donatore compatibile e che sia eseguito nei primi mesi di vita. In questo senso, lo screening neonatale per le SCID può fare la differenza per evitare esiti infausti. Tuttavia, al momento è incluso nel pannello nazionale di screening di USA e solo in alcuni paesi europei (come Danimarca, Germania, Norvegia, Islanda, Irlanda, Norvegia, Svizzera). In Italia solo alcune regioni o città hanno attivato progetti pilota e programmi dedicati (come in Toscana, Liguria, Padova, Palermo), ma resta ancora in attesa il suo inserimento nel pannello nazionale.
Fonte: La Voce MBA